[文化] Della cultura cinese: seconda lezione aperta con Yu Hua

Seconda lezione aperta all’Università degli Studi di Milano, ecco con quali parole ci ha lasciato ancora una volta a bocca aperta.

Il tour letterario di Yu Hua ha fatto tappe in tutta Italia e lui ha raccontato di sé, della Cina, della letteratura cinese (ma anche internazionale) e della cultura.

lezioni aperte yu hua

Silvia Pozzi, docente di lingua e cultura cinese nei due atenei milanesi, apre l’incontro con una presentazione concisa e precisa dell’autore e del suo stile, che definisce:

Una scrittura apparentemente semplicissima ma con vari livelli di difficoltà e soprattutto permeata da una grandiosa umanità.

Si parla di cultura oggi e Yu Hua inizia chiarendo che cosa intende con il termine 文化 Wénhuà, cultura appunto.

“Ci sono molti aspetti che fanno parte della cultura, come l’arte, la cultura gastronomica, in Cina la cultura del tè. Ancora, la moda che è una forma di cultura a sé. Questo termine è un termine onnicomprensivo, che chiunque può usare, raramente si sbaglia nell’utilizzarlo. Però è anche vero che ogni Paese ha la sua propria definizione di cultura e questo influisce soprattutto sul modo di rapportarsi delle persone, sul loro pensiero. Ad esempio, nel mio romanzo Cronache di un venditore di sangue c’è un personaggio che si comporta in questo modo: quando le accade qualcosa di brutto, si siede fuori casa e inizia a lanciare improperi a chi passa, a raccontare i fatti suoi.

cronache di un venditore

Quando sono stato all’Università di Napoli mi hanno confidato che anche lì accade qualcosa di simile. Io l’ho scritto non per invenzione, ma perché quando ero piccolo avevo una vicina di casa che si comportava proprio in questo modo. In Inghilterra, al contrario, un giornalista una volta mi disse che se nel suo Paese una donna avesse fatto una roba del genere suo marito si sarebbe di certo suicidato. Addirittura suicidato! In questo senso, gli italiani sono europei ben più liberi, un marito italiano avrebbe detto vado a prendere un pacchetto di sigarette e poi non si sarebbe più fatto vedere.”

Cultura del regalo (ovvero: tutto è relativo)

“Tempo fa, i cinesi andavano a comprare beni di lusso in Corea. Quindi dal punto di vista cinese, le donne coreane sono fortunate, possono ricevere regali di lusso più facilmente. Tuttavia una volta un coreano mi ha confidato il suo pensiero: che fortunate le donne cinesi!, gli uomini cinesi quando tornano da un viaggio portano il regalo sia alla moglie che all’amante.

Ma secondo un altro punto di vista, il mio, i migliori di tutti sono i mariti italiani: comprano regali solo per sé, non per la moglie né per l’amante.”

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Foto credit: chinainternshipplacements

Cultura del calcio

“Conosco una persona che abita vicino allo stadio di Pechino, un giorno mi ha chiesto se ero interessato a sentire il tifo è così sono andato a casa sua. Quando sentivamo le imprecazioni significava che la squadra pechinese aveva segnato, silenzio invece significava che aveva segnato la squadra avversaria.

Poi, dopo del tempo, sono andato a vedere i mondiali di calcio in Sudafrica. Lì mi sono reso conto che il modo di fare il tifo era assolutamente identico, cambiava solo la traduzione/il suono delle imprecazioni, ma molto probabilmente erano le stesse che venivano dette in cinese. In quelle due settimane trascorse in Sudafrica ho imparato insulti in chissà quante lingue, anche se poi non li ho mai usati.

L’ironia, le battute, anche questo aspetto accomuna le culture.

C’è una storiella in cinese, risalente alla dinastia Qing, che dice: un signore aveva un bastone molto lungo, non sapeva come farlo passare dalla porta. Un passante lì vicino cerca di aiutarlo: io non sono un sapientone però ti posso aiutare, basta che lo spezzi in due.

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Foto credit: weforum[dot]org

Ho scoperto che esiste una barzelletta del tutto simile in francese, dice una cosa del tipo se il camion non ci passa taglialo in due. Un contenuto molto simile. I punti in comune tra le culture ci fanno sentire più vicini, durante i nostri scambi.”

Il settimo giorno: quante anime?

 

Anche la morte fa parte della cultura di un popolo. Un aspetto molto importante è quello dell’anima, affronto il tema nel mio ultimo libro Il settimo giorno.

In Cina, si ritiene che nei primi sette giorni dopo la morte l’anima non abbia ancora lasciato il corpo e resti vicino alla casa del defunto e dei suoi cari. Per questo è usanza cinese fino al settimo giorno aspettare ancora il defunto, preparare molte cose, alcune famiglie molto ricche prolungano il periodo fino a 49 giorni, cioè ogni settimo giorno per sette volte la famiglia fa una festa commemorativa. Questa credenza è soprattutto diffusa nello Zhejiang, la mia regione.

Le 56 etnie della Cina comunque hanno diverse spiegazioni di che cosa sia l’anima, l’etnia Han crede che l’anima sia una sola, che quando il viso di un uomo diventa scuro significa che l’anima lo sta lasciando e che i bambini, che hanno lo sguardo pulito, lo possano percepire molto bene e perciò rifuggono da questo tipo di persone.

Il settimo giorno Yu Hua

Nello Yunnan, dove convivono molte etnie diverse, anche le credenze sull’anima sono in numero maggiore, l’etnia Dulong (独龙族) ad esempio ritiene che ci siano due anime e che la prima si comporti esattamente come la persona: tu ti vesti e l’anima si veste; la seconda invece se ne va in giro per conto proprio. Dunque un’anima sente e vede cose che l’altra anima non vede e sente affatto.

Per l’etnia Achang ( 阿昌族 ) invece le anime sono addirittura tre. Una volta morto il corpo, un’anima viene sepolta con esso, una torna a casa e una va dai propri antenati.

Nell’antica Grecia e nell’antica Roma era un tema sentito, importante. A Napoli un lettore de

Il settimo giorno mi ha detto che lì si crede che per 40 ore dopo la morte l’anima resti in casa. Ho risposto che allora i cinesi hanno più pazienza, dovendo aspettare ben sette giorni. Nell’antica Persia erano addirittura dodici mesi.

E quante nuove professioni si sono create grazie al tema dell’anima! Sacerdoti, stregoni, gente che ci faceva parecchi soldi…”

Visioni occidentali sulla Cina

Silvia Pozzi riflette: le religioni sono uno dei nodi che bisogna certamente affrontare per capire bene la Cina. Spesso noi occidentali ci interroghiamo sul rapporto tra cinesi e spirito religioso, perché ci sono tante religioni, ma le vediamo un po’ messe insieme come in un gomitolo e invece desideriamo immaginare più chiaramente come sia la questione religiosa in Cina.

“Durante la Rivoluzione Culturale non esisteva la religione, quando io ero piccolo. C’era un unico tempio nel mio paese e grazie ad un piccolo stanzino sul retro si sono salvati alcuni reperti.

Dopo la Rivoluzione Culturale, la religione è ritornata, mi ricordo di un prete quando ancora facevo il dentista. C’era anche una piccola chiesa cattolica. Però appena finita la Rivoluzione Culturale c’erano ancora pochi credenti, nel senso che si avvertiva poco il bisogno di avere un credo.

Chinese Garden of Friendship

Mi ricordo che sia il prete sia il monaco si annoiavano, avevano poco da fare, così un po’ uno andava al tempio a parlare con l’altro un po’ viceversa. Ora non è più così.

Ad oggi la religione più diffusa è il buddismo. Cosa curiosa, dato che appena entri nel tempio devi comprare il biglietto. Ad Hangzhou sono stato in un tempio taoista e ho chiesto ad un monaco: come mai il buddismo, religione importata dall’India, ha più seguito del taoismo che è un credo autoctono? Lui mi ha risposto: nel buddismo girano tanti soldi e nel taoismo no.

Credo che abbia colto nel segno: conviene andare in un tempio buddista, quando fai un’offerta in denaro non ci devi pagare le tasse.

Negli anni ’90 in Cina arrivavano le prime 奔驰 Bēnchí – Mercedes – e solo chi era molto ricco poteva permettersele. Una sera mi trovavo ad Hangzhou, vicino al lago occidentale, e vidi sei Mercedes guidate da sei monaci buddisti.

Sicuramente però la religione ha anche bisogno di un credo, di una fede. Da giovane ricordo che una volta mi ammalai e venni ricoverato in ospedale. Nel letto vicino a me c’era una signora anziana che sentiva ogni sera la lettura della Bibbia, per lei era una sorta di panacea. Nel terzo letto c’era una persona che non ascoltava la lettura ma tutti i giorni si lamentava rumorosamente e si disperava.

Comunque è proprio così: se non ci sono i soldi una chiesa non riesce ad affermarsi. Qui in Italia con la Chiesa cattolica dovreste saperlo.

Però voglio aggiungere che la diffusione di cattolicesimo e buddismo sicuramente hanno anche delle ragioni storiche, oltre a quelle economiche.”

Soldi, soldi, soldi

Lo punzecchia Alessandra Lavagnino: ritorna sempre questo tema dei soldi.. ma quindi lei scrive perché le piace o per i soldi?

“Quando scrivo non penso ai soldi. Però poi quando vengo pubblicato i soldi arrivano.

Ci sono tanti scrittori cinesi che adesso si dedicano alla calligrafia, ad esempio, perché vendendo due caratteri guadagnano di più e più in fretta che pubblicando un libro. A me non interessa, preferisco guardare il basket in tv.

Quando si guarda ad una società, alla sua cultura, ci sono tanti aspetti, sicuramente sia i soldi che la religione sono due di questi aspetti.

La fede è un aspetto importante per l’uomo al di là dello specifico credo,

non importa se uno brucia l’incenso o si porta dietro la croce, tutti sperano di essere protetti, cambia la modalità di richiedere protezione, con i tipi diversi di preghiera.

La fede è collegata a qualcosa di concreto, l’offerta, e così viene trasmessa. La prima copia della Bibbia che io lessi mi fu regalata dal prete della chiesa del mio paesino. Ricordo che era rilegata molto bene ed era stata tradotta molto bene. Ovviamente io l’ho letta come opera letteraria, non da un punto di vista religioso. E secondo me è uno dei testi letterari più importanti. Solo anni e anni dopo scoprii che era stata tradotta dall’inglese, con tutte le influenze dal punto di vista religioso che poteva aver ereditato.

Avevo scoperto che il credo anglosassone era più ristretto e si erano impegnati molto nel diffondere copie della loro versione della Bibbia in Cina. Quando la Chiesa cattolica lo scoprì mandò trenta cinesi in Australia per tradurre la versione cattolica della Bibbia, ma tutt’ora l’altra versione è molto più diffusa.”

Che cos’è la felicità?

“Una domanda che può avere moltissime risposte”

Si prende una pausa. Poi guarda il suo tavolo.

“Per adesso la felicità è un bicchiere d’acqua.

È qualcosa di soggettivo, dipende dai tuoi desideri, non dall’opinione dell’altro. Può essere mangiare se sei affamato. Possiamo provare invidia per un politico che ha fatto strada, ma non dimentichiamo che anche per loro arrivano i momenti difficili. Vediamo per strada un mendicante e pensiamo che sia triste, ma sicuramente anche lui ha avuto invece i suoi momenti felici. Quindi le cose importanti sono due: la felicità ha forme diverse per ognuno di noi ed anche degli standard diversi. Mi viene in mente una storiella cinese.

Che cos'è la felicità: una storiella cinese
Che cos’è la felicità: una storiella cinese

Ci sono un gruppo di ricchi ed un mendicante. Quattro persone ricche ed una vasca di pesci, dei quali si sa che qualcuno potrebbe essere velenoso. Tutti si guardano, nessuno ha il coraggio di mangiarlo per primo. Viene loro in mente che sulla porta c’era un mendicante. Chiedono al cameriere di mettere un pesce in una vaschetta per l’asporto e darlo al mendicante. Dopo un’ora chiedono al cameriere di andare a vedere se il buon’uomo è ancora vivo. Poiché è vivo, iniziano a mangiare, poi escono dal ristorante e salgono sulle loro Mercedes. In quel momento il mendicante dice: ma guarda che spilorci, non mi hanno dato niente! E tira fuori il pesce. Sicuramente in quel momento il mendicante era più felice di loro.”

Visioni occidentali sulla Cina reprise

L’economia cinese ad alcuni fa paura. Perché i cinesi ci fanno paura?

Prontamente Yu Hua risponde “Dovreste essere voi a dirmelo, 你告诉我吧!

Penso che questa paura sia legata alla velocità con cui la Cina cambia. Eravamo una Paese povero, negli ultimi trent’anni siamo cambiati totalmente. Forse è un problema di orgoglio ferito degli occidentali.

È interessante questa riflessione: solo chi è nato cresciuto ed ha studiato negli Stati Uniti può aver creato un colosso economico come Facebook, una riflessione che è stata sottoposta anche a Mark Zuckerberg, in visita in Cina, da una giornalista cinese.

In Cina ci sono dei colossi di Internet ma non sono come Facebook. La giornalista ha chiesto proprio questo: hai potuto farlo perché sei nato negli Stati Uniti? E poi ha anche aggiunto: non devi controbattere ma solo rispondermi sì o no. Penso che il problema con i cinesi sia soprattutto dell’America, è un fatto di orgoglio.

Non c’è bisogno di aver paura, anche se la Cina si è arricchita non cambierà mai l’Europa e allo stesso modo l’Occidente non cambierà mai la Cina.”

Inciso letterario: il genere romanzo

Silvia Pozzi spiega all’Aula Magna che la struttura del romanzo cinese, a differenza di quello occidentale, è soprattutto un tessuto fatto di momenti, di istantanee messe insieme. Manca quella definisce una tensione all’acme finale, ma si alternano il riso ed il pianto, come nella vita.

“Una volta il romanziere non era uno scrittore considerato, perché erano considerati autori di pregio soprattutto coloro che scrivevano saggi e operette morali. Il motivo era anche l’uso della lingua vernacolare, sopraggiunto in un secondo momento.

Prima la letteratura era materia destinata a pochi, gli istruiti. Poi hanno iniziato ad esistere anche opere destinate alle persone comuni. Viaggio in Occidente (西游记) e Il romanzo dei Tre Regni ( 三国演义 ) sono stati scritti proprio per il popolo.

Per formarmi ho dovuto per forza rifarmi alla letteratura tradotta, perché il mio genere non era molto sviluppato. L’approccio corretto a Viaggio in Occidente, in effetti, è considerare come se ogni avventura fosse un racconto a sé, pur essendoci un inizio ed una fine. Anche Il romanzo dei Tre Regni ed I Briganti sono strutturati così.

Invece i classici occidentali sono totalmente diversi.

Nelle opere tradizionali cinesi ci sono tanti racconti di battaglie, le storie si intrecciano, una dentro l’altra. Ricreare una trama del genere, così fitta di avvenimenti e personaggi, è difficile, ci vuole una tecnica precisa, io non sono ancora riuscito a farlo.

Nel romanzo, invece, la tecnica è quella di semplificare la trama, che diventa accessibile a tutti. Sicuramente se decidessi di scrivere un mattone di romanzo dovrei prendere spunto da questa modalità, per il lettore è più facile arrivare alla fine, non lo lascerebbero a metà.

Dietro ad ogni storia c’è l’individuo e la società in cui vive: vale per la Cina ma anche per Dickens e per Balzac.”

E le donne?

“Nella letteratura cinese tradizionale manca la tematica sentimentale, si parlava soprattutto di tematiche politiche. Al massimo si può trovare descrizione della vita personale di una donna. L’amore era un argomento riservato alla canzone popolare.

 

women in China

Così anche la produzione letteraria di autori donna è limitata. Ciò non vuol dire che nei testi non ci siano personaggi femminili, ad esempio ne Il Sogno della camera rossa ( 红楼梦 ) ci sono molte figure femminili. Ma non rappresentano l’immagine completa della donna dell’epoca, solo le donne di un certo lignaggio. Per trovare dei personaggi femminili completi consiglio di leggere Lu Xun come autore. Probabilmente le scrittrici hanno una sensibilità maggiore nel dare un carattere vivido ai personaggi femminili, cosa che gli autori maschili sono meno in grado di fare.”

Per leggere i contenuti della prima lezione a porte aperte di Yu Hua clicca qui.

Cover picture credit: Istituto Confucio Unimi
La terza lezione è purtroppo omissis, per via di imbrigliamenti legati all’applicazione dell’art. 10 legge 300/70. Se hai partecipato alla terza lezione e vuoi scrivere qualcosa in proposito,  contattami